31.3.10

Meglio assecondarla

Ancora sul confronto con le altre mamme: qui a Londra - come, suppongo, in ogni altra metropoli cattiva, affannata e incasinata che si rispetti - dilaga la mania dei corsi fatti CON i propri figli. Proprio così: la creatura non si manda più a nuoto o a musica, in modo da avere due ore di respiro, macchè: bisogna buttarsi in acqua con lei, infangarsi giocando a calcio, shakerare maracas con convinzione.
Se poi la creatura è femmina, la madre ha praticamente l' obbligo morale di spendere con lei del quality time facendo shopping, andando dal parrucchiere, frequentando corsi di cucina, giardinaggio, baby pilates...

E ' abbastanza evidente che si tratta di un'idea assurda. A una bambina di tre anni tutto quello che serve è una mamma che si sieda per terra a giocare con lei dimenticandosi delle altre diecimila cose da fare. Eppure, pressure is on, ed il senso di colpa per il mancato raggiungimento degli standars dettati delle mamme locali giace nell'ombra.

Così sabato scorso ho deciso di dedicare il pomeriggio esclusivamente a Verdun, lasciando soli gli uomini di casa a divertirsi insieme (leggi dormire).
Il programma era il seguente: gita alla biblioteca locale per partecipare a un'attività per piccoli, tappa cappuccino e cantuccino da starbucks, veloce commissione da boots, che sarebbe la farmacia.
Io all' idea di passare il pomeriggio only girls ero chiaramente sovraecciatata da giorni. Anche Verdun appariva abbastanza entusiasta, inizialmente. Già.
Non avevamo tenuto conto di alcune variabili tipiche londinesi: la pioggia continua, la metro strapiena, la calca umana su oxford street, la bambina che le ha soffiato il libro dei teletubbies che aveva puntato alla library, il salto in farmacia che è diventato una deviazione di un' ora a causa tre linee della metro sospese per lavori.
Insomma, sono arrivata a casa la sera stravolta. Verdun era appena un po' più in forma, ma del resto sono io che ho tenuto in braccio lei, non viceversa.

Alle sette e mezza, in perfetta sincronia con la pasta appena scolata, chiama la nonna, con il sempre più palese intento di accertarsi che la nipote si mantenga in salute nonostante l' incompetenza dei genitori.

Risponde Verdun, ovviamente:
"Heho. Wa wa iu."
(Hello. How are you. - proprio così, zero intonazione: sooo british)

"Ciao! Mi riconosci? Sono la nonna! Non mi dici ciao? Stai mangiando? Cosa stai mangiando? E tuo fratello dov' è? Che fa? Ha già mangiato lui? A cosa stavi giocando? Quando vieni a trovarmi? Cosa hai fatto oggi di bello?..."

Verdun (approfottando di una pausa della nonna per riprendere fiato):
"Metro. 'aibrari. Babucks. Metro. Boots. More metro. Cà. Bom."
(Metro. Library. Starbucks. Metro. Ancora metro. Casa. Fine delle danze.)
Non so se meravigliarmi di più per la sua prodigiosa memoria, la prodigiosa scarsità di vocabolario, o la secchezza con cui la sequenza degli eventi è stata comunicata - sottinteso, ma abbastanza esplicito nel tono: Avrei preferito di gran lunga stare a casa a giocare con il lego, ma sembrava che mamma ci tenesse parecchio.

Grazie Verdun, perche a due anni e mezzo hai capito che la mamma, anche se a volte si sente un po' incerta e inadeguata, cerca sempre di fare del suo meglio, e perciò ogni tanto va assecondata, anche con palese condiscendenza. Se non altro, stritolate nella metro ci siamo coccolate tanto .

Nella foto: Verdun gioca alla metro: si infila in una scatola, stritolata fra le sue bambole, ricreando fedelmente l' ambiente del Tube nell'ora di punta. Notare la Oyster (l' abbonamento della metro) pronta in mano, da vera pendolare. Such a pro.



29.3.10

Sleep is for the weak

Per me i temi "Confronto con le altre madri" e "Deprivazione di sonno" vanno strettamente a braccetto. Nei parcogiochi londinesi è infatti abbastanza tipico assistere al seguente scambio di opinioni:

"Ieri sera Olivia non si addormentata fino alle sei e mezza! Stavo impazzendo!"
"Oh, darling! Come sei sopravvissuta?"
"E' stata durissima. Da quando è nata si è sempre addormentata alle six o'clock. Comunque, l 'ho mollata alla nanny filippina."

Sentire queste conversazioni mi abbatte tantissimo. Voglio sapere dove, dove ho sbagliato. Perchè in effetti la maggior parte dei bimbi inglesi hanno un tea (una cena leggera, diciamo) alle cinque, poi bagnetto, bedtime story e arrivederci a domani.

Invece Verdun a Pierrot, fedeli alle loro origini, hanno rigettato da subito il modello anglosassone per aderire a un più mediterraneo "la mamma la mettiamo a letto noi". Non importa a che ore si sveglino al mattino, quanto dormano al pomeriggio, se passiamo la giornata in casa o a scorrazzare ai giardini, gli sciagurati non si addormentano mai prima delle nove e mezza, e si svegliano all'alba.

Questo dell' insonnia è chiaramente un gene che si esprime ogni due generazioni, in quanto anche mio padre, almeno da quando lo conosco, non ha mai dormito più di cinque ore per notte, senza dare segni evidenti di squilibrio, tranne un po' di noia a causa di tutto tempo in più che ha a diposizione rispetto alla massa.
Io invece ho sempre avuto il problema opposto: per funzionare bene, dovrei dormire 19 ore al giorno, come i koala.
Il piccolo Pierrot, su cui avevo riposto grandi speranze, si è subito adeguato ai ritmi della sorella: dorme un'ora al pomeriggio, e la notte dalle 9 emezza alle 6 e mezza. Come un adulto. Come un normadulto, per la precisione.

Come ci collochiamo io e la mia sindrome del koala in mezzo a queste due generazioni di gufi?
Una volta ho provato ad accennare alle nostre abitudini a una mamma indigena, ma mi ha risposto super-allarmata: "Guarda che i bambini devono seguire ritmi più naturali, il cervello ha bisogno di pause più lunghe, così li stressi tantissimo..."
Mah. A me sembrano abbastanza in forma i miei Signori Bambini.
"...E poi tu come fai a trovare il tempo per tutto il resto, a che ora vai a dormire, sarai uno straccio tutto il giorno..."
Contrariamente a tutte le conclusioni logiche, invece, sono relativamente pimpante. Evidentemente, ci si adatta a tutto. Il mix caffè e Lindt Dark 85% crea assuefazione, ma aiuta parecchio.


Il Mago Zurlì, del resto, profetizzava:

Ninna nanna mamma,
tienimi con te:
nel tuo letto grande
solo per un po’,
una ninna-nanna io ti canterò
e se ti addormenti, mi addormenterò

Ninna nanna mamma
insalata non ce n’è
sette le scodelle sulla tavola del re
ninna nanna mamma ce n’è una anche per te
dentro cosa c’è
solo un chicco di caffè

Dormono le case,
dorme la città,
solo l’orologio
suona e fa tic tac:
anche la formica
si riposa ormai,
ma tu sei la mamma
e non dormi MAI

Ninna nanna mamma
insalata non ce n’è
sette le scodelle sulla tavola del re
ninna nanna mamma ce n’è una anche per te
dentro cosa c’è
solo un chicco di caffè

Quando sarò grande
comprerò per te
tante cose belle
come fai per me:
chiudi gli occhi e sogna
quello che non hai,
i tuoi sogni poi
mi racconterai

Ninna nanna mamma
insalata non ce n’è
sette i piatti d’oro sulla tavola del re
ninna nanna mamma ce n’è una anche per te:
ci mettiamo su
tutto quello che vuoi tu,
ci mettiamo su
tutto quello che vuoi tu




26.3.10

Post travagliato (continued)

Verdun è arrivata una sera di giugno nel 2007 in gran fretta, con due settimane di anticipo sulla dpp. Era una tipica giornata estiva londinese, pioggerellina leggera e incessante: guardavo sulla finestra le strisce delle gocce di pioggia per distrarmi durante le contrazioni. Non volevo muovermi, volevo stare da sola: ho temporeggiato e temporeggiato, tanto che alla fine, quando siamo andati in ospedale, ero a un passo dal parto.
Verdun è sgusciata fuori in una spinta sola come un pesciolino, e ha iniziato immediatamente a urlare, attività che ha poi praticato e raffinato ad oltranza nei tre mesi successivi. Eppure, quando ripenso a quelle prime ore in cui siamo rimasti soli, io, H e la nostra brand new Verdun, ricordo solo una sensazione di pace e completezza: la nostra prima notte da famiglia.

(Disclaimer
: se non aggiungo particolari pulp è proprio perchè non me li ricordo; si può ragionevolmente supporre che abbia rimosso molto in previsione del parto numero due).

Per Pierrot si parlava del 21 settembre 2009, ma io mentalmente ero pronta da agosto.
Infatti, il 24 settembre non era ancora nato. Cominciavano a intensificarsi le telefonate dall’ Italia, tanto per aumentare l’ ansia.
La sera del 24 mia madre mi racconta al telefono che per entrambi i miei fratelli era andata al pronto soccorso ginecologico del Sant’Anna dicendo che non li sentiva più muovere, così l’ avevano indotta ed entrambi erano nati rapidissimamente, “…Se sei stufa, puoi fare cosi anche tu.”
“Mamma, ma cosa dici? Ti sembro la persona che si fa indurre perchè è stufa di essere incinta? Dai.”

Mattina seguente, ore 8 al pronto soccorso del Saint Mary: “…No, no, I’m fine…it's just that I haven’t felt him moving in the last 24 hours…”.
Monitoraggio. Va tutto bene, “But if you are really anxious about it, we can induce you.”
“Let’s do it.”
Nel mio ingenuo immaginario, l’ induzione sarebbe avvenuta con un gel, o una flebo, una cosa gentile. La midwife sfodera invece un attrezzo stile tortura medioevale – di quelli che tengono esposti alla tower of london; un mattarello, tipo.
Prima che potessi enunciare “What IS that?” mi aveva già rotto le acque. Posso descrivere la cosa solo dicendo che è stato il momento più doloroso di tutto il travaglio, parto compreso.
In effetti però, da lì in poi è stato tutto molto veloce: due ore scarse di contrazioni, durante cui stringevo forte le fotine di H e Verdun e cantavo l’ ABC song (“Ouch, questa volta sono arrivata fino alla W, mi sa che ci siamo quasi…”)
Poi poche spinte, e lo posso stringere in braccio. E’ l’ alba di un bellissimo sabato di settembre, un indian summer, dicono qui a Londra. Mi lasciano da sola con lui per un paio d’ore in sala parto. Pierrot mi osserva incuriosito per un po’ e poi si addormenta in braccio, sereno. Aspetto le sette per telefonare a casa ad H senza svegliare Verdun: “Falle fare colazione, e poi venite. E’ un biondino!”.
Il mio biondino oggi compie sei mesi, ed è rimasto molto fedele a come si è presentato, sereno, osservatore, curioso, affettuoso, “A very precious little thing”.

25.3.10

Post travagliato

Travaglio si traduce labour in inglese e, indeed, è un lavoraccio; tuttavia, mi sembra un buon punto da cui iniziare a raccontare la mia esperienza di mamma.

Posso immaginare Madre Natura desiderosa di prendersi un break mentre dice: "Allora, signore mie, vi ho dato curve, intelligenza, bellezza, sensualità e occasionali orgasmi multipli, perciò ora sono davvero stravolta e non mi rimane nessuna energia per elaborare un metodo simpatico per avere bambini. Non è il massimo, ma ho pensato che la creatura potrebbe crescervi dentro la pancia per NOVE mesi, fino a che non raggiungete un punto vicino all' esplosione, dopodichè uscirà attraverso la vostra vagina. Non è il massimo, dicevo, ma sono veramente distrutta, perciò arrangiatevi."
Il travaglio non è solo tremendamente doloroso, ma, nella mia esperienza, proprio faticoso, sia in termini fisici che morali. Anche quando è fast&furious, come sono stati i miei, ho concluso l' opera stremata, come se avessi corso una maratona.

Mi rendo conto di non essere stata granchè incoraggiante, finora. Ecco allora qualche barlume di speranza per eventuali lettrici incinte (quando ero incinta io, ho sviluppato un'ossessione compulsiva per posts su travagli e parti, che peraltro non ho ancora del tutto superato):
. dopo aver partorito, niente sembrerà particolarmente doloroso a confronto - incluse cerette, allattamento, borse della spesa che tagliano le mani - si diventa dure come chiodi
. una volta che il rospetto è fuori, il dolore svanisce quasi istantaneamente, scatta immediato il meccanismo di rimozione, e si sarebbe pronte a rifare tutto una settimana dopo
. esistono svariate forme di anestetici, che diventano rapidamente molto desiderabili, anche se prevedono un ago grande come un pollice infilato nella colonna dorsale. Rifiutare gli anaestetici è una forma di masochismo piuttosto diffusa tra le partorienti, per meccanismi pasicologici non chiari. Io stessa non ho mai preso niente, ma mi rendo conto che è un assurdità: niente pacchi di pannolini omaggio, giornate in beauty farm o ore di baby sitting gratis per la puerpera che rifiuta gli anestetici, perciò, come suggerì una mia amica, "Take them! Take them all!"
. in qualunque discussione con il parner - che qui presupporremo padre della creatura- la madre avrà la meglio: qualunque argomento si può controbattere con un più che convincente "Non l' hai partorito tu."
. il travaglio e il parto si concludono con la nascita di un bambino: e davvero questo rende tutto il dolore irrilevante; nell'istante in cui ho preso in braccio i miei piccoli, ho pensato che ne fosse valsa la pena, non fosse altro che per quelle prime preziosissime ore passate insieme, per il loro profumo, per gli sguardi inquisitori, per le prime buffissime smorfie.

Mi fermo qua per andare a dargli un bacio mentre dormono: nel sonno, assomigliano ancora tanto ai bebé che sono stati; da svegli, sono molto più interessanti, più di quanto potessi immaginare in quelle prime ore in cui sembravano già perfetti.
(to be continued)

23.3.10

Sulla necessità di riderci sopra

Il badge con la manina nella colonna a fianco segnala che questo blog partecipa a un' iniziativa di Huggies Club, battezzata "Mamma che ridere".
L' idea generale è di scrivere e poi mattere in scena una pièce teatrale sulla figura della mamma allegramente imperfetta, letta in chiave consapevole e dissacrante al tempo stesso, raccogliendo contributi da diversi blog che hanno come sfondo appunto la maternità.
Questo è uno di quei blog: Verdun e Pierrot sono più di due etichette, sono la molla che ha fatto nascere la voglia e il coraggio di raccontare questa nostra esperienza di famiglia, sia a chi ci conosce e vive lontano, sia a quelle facce sconosciute eppure virtulmente molto vicine delle autrici di mummy blogs che leggo spesso, per ridere, per conforto, per informazione, perchè "mal comune, mezzo gaudio".

Mi è piaciuto il titolo di questa iniziativa: credo fermamente nella necessità di saper ridere davanti all' estenuante richiesta fisica ed emotiva, e all'imprevedibilità che le giornate assumono quando si diventa mamma.
E mi sono riconosciuta nello slogan proposto nel trailer: "Essere mamma è un casino. Essere mamma è meraviglioso". Il mio essere mamma è a tutti gli effetti un casino meraviglioso, un alternarsi incessante di momenti in cui l' ingovernabilità della situazione sembra avere la meglio, e di altri in cui non posso fare a mano di fare un passo indietro per contemplare, meravigliata, tanta bellezza nella mia vita.
Così, nelle prossime due settimane, i soggetti dei miei post saranno veicolati da alcuni temi proposti dalle mamme bloggers che hanno lanciato questa iniziativa, più altri particolarmente rilevanti alla mia personale esperienza di genitore, ma tutti rigorosamente taggati Verdun e Pierrot, i miei Signori Bambini.

Per il regolamento completo di "Mamma che ridere", ecco il link al sito:

20.3.10

Ballet shoes, no thanks

A completare il post precedente: H manda a sua madre le foto di Verdun in versione Del Piero, via mail. Lei non perde tempo e nel giro di poche ore lo sta già martellando al telefono chiedendo spiegazioni sul perchè invece la nipote non sia tra le nuove reclute del London Royal Ballet.

This is not going to happen.

Innanzitutto, perchè ho stabilito con H che il giorno in cui inizierò a ragionare come sua madre, lui avrà unquestionable grounds for divorce. E comunque la mia avversione alla danza classica ha radici più profonde della mia più che naturale tendenza a fare l' opposto di quello che suggerisce la suocera.
Porto infatti i segni di una tragica esperienza quadriennale alla scuola di danza classica " Giorgia Colonna". Al nome rabbrividisco ancora.
In realtà me la sarei anche dimenticata se non ci fosse una foto nell' album di famiglia, gelosamente curato e custodito da mia madre, che mi ritrae in tutù bianco e scarpette rosa durante il saggio di fine anno. Avevo otto anni, ballavo da tre e per la prima volta facevo parte del gruppo che avrebbe portato lo spettacolo del saggio di fine anno della scuola a teatro a Torino - kind of a big event, in prospettiva.

Quando me lo comunicarono, la reazione fu di entusiasmo misto a stupore. Più stupore che entusiasmo, a ripensarci meglio. Non ricordo perchè o per far contento chi mi ostinassi a fare danza, ma ma ricordo bene di non essere mai stata portata. Anzi, sono piuttosto famosa per la mia goffaggine, e un po' meno per il fatto che ho praticamente le caviglie dello stesso diametro del ginocchio, dato che non metto una gonna dall'89 circa. Ma queste caratteristiche erano gia lì, venti anni fa. Quindi la notizia di essere stata scelta per ballare a teatro mi gonfiò d' orgoglio.

Durò pochissimo: saltò fuori infatti che avremmo rappresentato "Lo Schiaccianoci", e il mio ruolo sarebbe stato quello del burattino, che consisteva in pratica nello stare in piedi, al fondo del palco, con le braccia piegate a novanta gradi, quasi immobile per un'ora. Tre o quattro volte durante lo spettacolo dovevo girarmi meccanicamente a destra e sinistra, mantendo la suddetta inclinazione degli arti superiori. La foto nell'album di famiglia mi ritrae così, burattina, piccola piccola perchè la macchinetta di mia madre non aveva neanche lo zoom , e ce ne sarebbe voluto uno potente. Ma forse è meglio così, non si vedono le lacrime.

Dammi retta Verdun, il calcio è piu divertente.

Just to complete the previous post: H sent a few photos of Verdun's football lesson to his mother, and in a couple of hours she was rambling at the phone asking why her grandaughter wasn't yet enrolled at the Royal London Ballet, instead of wasting time running after a ball.

This is not going to happen.

For one, because I have given H unquestionable grounds for divorce should I ever start reasoning like his mother. And anyway, the roots of my adversion to classic ballet are way more serious and deep than my more than natural tendency to do the opposite of what my mother in law suggests. I still bear , in fact, scars from a tragic experience as child enrolled at the "Giorgia Colonna" Ballet School. The bare name still makes me shiver with anxiety.

Actually, I would have probably forgotten everything about it, if not for a photo in the family album, currently under my mother's jealous administration and custudy, in which I appear in a white tutu and pink shoes, during the end of year production of the ballet school.
I was eight, I had been practicing for three years, and I had been chosen for the fist time to be part of the group that would have presented the production in a proper theatre in Turin - kind of a big event, in perspective. When I was told that I was in The Group my reaction was part enthousiasm, part astonishment . More astonishment than enthousiasm, actually. I can't remember why or to please who I was doing classical ballet, but I'm pretty sure I was never meant to . I'm actually pretty famous for my clumsiness, and a bit less for the fact that my ankles have the same diametre than my knees - thanks to the fact that I haven't put on a skirt since 1989. But these characteristics were already there, twenty years ago. Hence, having been chosen to represent the school at the teatre made me burst with pride. It didn't last long, though.

It turned out that we would have represented "The Nutckravker" , and that I was going to be the puppet, which basically meant to stand up with my arms bent at ninety degrees, almost completely still for one hour, at the far end of the stage. Three or four times during the show, I had to turn around, as much mechanically as possible, mantaining the arm inclination mentioned above. So this is how I appaer in the family album, as a puppet, very very little because my mother's camera didn't have a zoom, and she would have needed a really good one. Yet maybe it was for the best, at least my tears do not show.

Trust me about the football, Verdun, it's way more fun.

19.3.10

Bend it like Beckam

Mio padre è stato a Londra un paio di giorni per lavoro, ed è scoppiata la primavera: cielo azzurro, quindici gradi, scoiattoli scatenati dal caldo inatteso, improbabile anche per luglio.

Considerando che ogni volta che ci sentiamo al telefono non faccio altro che lamentarmi delle temperature polari di Londra, questo timido accenno di global warming avrà confermato l' idea che mio padre ha di me quale meteropatica, inaffidabile e tendenzialmete psicotica. Pace.



Nel bel mezzo di questa primavera anticipata, Verdun ha partecipato alla sua prima lezione di calcio. Era una specia di lezione di prova, anzi, salta fuori che era una cosa organizzata dal Westminster Borough per bambini meno abbienti; va notato che siamo finiti nella lista dei prescelti un giorno in cui H ha portato Verdun a giocare alla ludoteca locale, il che forse dovrebbe dirmi qualcosa su in che stato escono in mia assenza...



Sorvoliamo. Se non altro abbiamo partecipato a questa lezione di calcio gratis (scopro poi sul website dell'organizzazione che la quota è di modiche dodici sterline a lezione).



Location della lezione: Hyde Park, proprio in mezzo al park, che tanto lo spazio non manca.
Presenti: dieci unità toddler-genitore, due allenatori, mini-palloni, mini-reti, conetti e cinesini.

Gli allenatori presentano l' andatura e la fioritura di brufoli tipici della tardoadolescenza, e dicono di voler essere chiamati coach K e coach T. I genitori sorvolano su quest'evidente identificazione con i protagonisti di men in black; i toddlers, se capissero, probabilmente empatizzerebbero (Verdun, ad esempio, al momento dichiara di chiamarsi Peppa Pig).


La lezione procede: ovviamente parlare di calcio è un po' un overstatement, ma i piccoli sembrano divertirsi parecchio: scorrazzano, spostano birilli, tirano calci, soprattutto a vuoto. Il clou sono, ovviamente, i tiri in porta: i bambini sarebbero supposti prendere una rincorsa di cinquanta metri per calciare una palla posizionata strategicamente a trenta centimetri dalla rete. Sfortunatamente, il giovane Joseph si distrae durante la spiegazione del coach K e, anzichè fermarsi a calciare la palla, continua la sua rincorsa dritto verso i cancelli del parco, proprio stile Forrest Gump. Verrà poi recuperato dal genitore e portato via nel disdegno generale. Coach K commenta, lapidario: "He didn't listen to instructions".



La lezione si conclude con alcuni esercizi di defaticamento (!) e distribuzione a manetta di stickers. Verdun è in estasi. Tenta di portarsi a casa la palla. Per tutto il resto della giornata calcia tutto quello che trova per terra, fratello compreso, credendosi Alessandro Del Piero. Col senno di poi, in effetti, si sarebbe potuto schierarla contro il Fulham. Alas, too late!



My father spent a couple of days in London for work, and very suddenly it was spring! Bright blue sky, fifteen degrees, squirrels in Kensington Gardens puzzled by the unusual weather - the kind of weather that would still be unusual in July, in London.

Considering that I spend most of my phone calls complaining about the horrible London weather, this timid hint of global warming will probably end up reinforcing dad's image of his dear daughter as metereopathic, unreliable and vaguely mad. Whatever.



In the mist of this sudden spring, Verdun has attended her first football session. It was actually a trial session; oh well, to be perfectly honest it was a session organised by Westminster Borough for, uhm, not very well-off children ; we endede up in the list of the not well -offs the day when H brought Verdun to play at the local playcentre, which should tell me something about the way they look when they go for an outing in my absence...

Anyway. If anything, we attended the lesson for free - I have just discovered on the website of the organisation that it normally costs twelve pounds par session!


Back to the lesson. Location: Hyde Park, right in the middle of the park, one of the few places in London where space is not an issue.

Cast: ten toddler-parent units, two coaches, mini-balls, mini-goals, various spare football material.

Both the coaches display the allure and the abundance of pimples typical of the late adolescence, and want to be called Coach K and Coach T. The attending parents try really hard to ignore their identification-with-men-in-black-characters issue. The toddlers would probably emphatise, if they could understand (Verdun, for example, currently wants to be addressed as Peppa Pig).



The session goes on: obviously talking about football is a bit of an overstatement here, but it looks like the kids are really having fun: they are running, jumping, rolling, kicking, mostly in the air, but they still seem very satisfied. The climax comes, of course, with the "penalties": children are supposed to run for 50 metres to kick a ball strategacally placed at thirty centimetres from the goal.
Unfortunately, young Joseph is distracted during Coach K' s explanation, so when his moments comes, instead of stopping to kick the ball, he keeps on running towards the park gates, very Forrest Gump style. His dad runs after him, while Coach K comments, lapidary, "He didn't listen to my instructions ". Shame on him.



The session ends with some cool down exercises (!) and random distribution of stickers. Verdun is estatic. She even tries to steal a ball from Coach K himself. For the rest of the day, she kicks everything that happens to be at her feet level, little brother included, believeng to be Alessandro Del Piero. She could as well have been sent on the grounds against Fulham. Alas, too late!


17.3.10

Like I' ve never done before

Grande fermento al pub sottocasa per i festeggiamenti di St Patrick: bandiere irlandesi, cappelloni a tuba, gente più ubriaca del solito, donne vestite ancor peggio del solito (almeno un capo verde smeraldo è d' ordinanza, pare: trattasi di un colore che ha la singolare proprietà di non star bene addosso a nessuno; tranne, suppongo, a Saint Patrick himself).

Comunque.
Per me il 17 marzo ha un significato diverso. Tra i tanti anniversari che mi legano ad H, e che vengono sistematicamente dimenticati da entrambi tra gli altri innumerevoli impegni quotidiani , è quello che mi piace di piu. Otto anni fa ci siamo baciati per la prima volta.
Eravamo giovani, imbranati, allegri, felici di essere insieme. C'era un vento caldo insolito per questo periodo dell'anno. Sono seguti altri baci, periodi buoni e meno buoni, periodi in cui siamo stati vicini, poi lontani, poi di nuovo vicini; tanti viaggi, la decisone grande di vivere all'estero, la ricerca di una casa insieme; gravidanze, parti, notti insonni; primi dentini, primi passi, prime parole; momenti di gioia, momenti di tristezza, momenti di fatica, tanti venti, freddi e caldi. Otto anni dopo, tutto sommato, non siamo cambiati molto: siamo ancora giovani, imbranati, allegri, felici di essere insieme.

H non appare, non apparirà spesso direttamente in questo blog. Eppure la sua presenza e il suo supporto sono intrinsechi alle mie giornate, alle mie scelte, ai miei successi e ai miei fallimenti. H ha la caratteristica di esserci sempre, anche quando chiunque altro avrebbe gettato la spugna. Non con grandi gesti, ma con costanza e continua premura. Perciò non appare, ma traspare da tutto quello che faccio, e da quello che racconto: basta scavare un po', e lui c' è.
Ogni giorno si rende piu indispensabile, vitale. Ecco una differenza che il tempo ha portato: nove anni fa tanta dipendenza mi avrebbe inquietata, adesso non piu. Adesso, dopo che tante cose che a vent' anni sembravano ovvie sono state messe in discussione , adesso che non sappiamo dove vivremo tra sei mesi, adesso che siamo genitori, la trama della coperta che io e H ci stiamo tessendo intorno mi rende più serena e coraggiosa, più potente. Mi piace pensare che la cosa sia reciproca.


Help, I need somebody,
Help, not just anybody,
Help, you know I need someone, help.

When I was younger, so much younger than today,
I never needed anybody's help in any way.
But now these days are gone, I'm not so self assured,
Now I find I've changed my mind and opened up the doors.

Help me if you can, I'm feeling down
And I do appreciate you being round.
Help me, get my feet back on the ground,
Won't you please, please help me?

And now my life has changed in oh so many ways,
My independence seems to vanish in the haze.
But every now and then I feel so insecure,
I know that I just need you like I've never done before.

Help me if you can, I'm feeling down
And I do appreciate you being round.
Help me, get my feet back on the ground,
Won't you please, please help me.

When I was younger, so much younger than today,
I never needed anybody's help in any way.
But now these days are gone, I'm not so self assured,
Now I find I've changed my mind and opened up the doors.

Help me if you can, I'm feeling down
And I do appreciate you being round.
Help me, get my feet back on the ground,
Won't you please, please help me, help me, help me, oh.



(I am not going to translate this one. Basically, it's about H. To eat, pray and love, I'd stick to italian.)

11.3.10

World Book Day

If you talk with me,
If you play with me,
If you sing to me,
If you read to me,
Then I'll know what
it's all about.

In caso qualcuno si fosse distratto, questo è il mese mondiale del libro. In realtà la giornata mondiale del libro è stata il 4 Marzo, ma le celebrations in UK tirano avanti per tutto il mese. Ecco allora un post che bilancia quelli un po' pessimistici scritti finora su Londra: una delle cose per cui vale la pena vivere qui è l' ossessione locale per la promozione della lettura e dei libri.
Si punta molto sui giovani e giovanissimi, il cui sviluppo come lettori è considerato fattore decisivo per la loro educazione, e, più genericamente, for their self-fulfillment in life (questo è un concetto troppo british per perder tempo a cercare di tradurlo).
Ad esempio, attraverso il progetto Bookstart, i bambini dai sei mesi ai tre anni ricevono periodicamente una borsa piena di libri pensati per la loro età e piccoli goodies (pennarelli, poster con filastrocche, puzzles). Quando poi raggiungono l'età dell'istruzione obbligatoria - quattro anni - l'attenzione diventa ancora maggiore, anche perchè imparare a leggere in inglese richiede obiettivamente più tempo ed energie che in lingue fonetiche come l' italiano; su quale sia il metodo migliore per imparare a leggere si scontrano scuole filosofiche, partiti politici, bidelli...la questione merita decisamente un post a parte!
Tutte le biblioteche hanno un'area bambini, attrezzata in modo che possano passarci del tempo leggendo, scrivendo, colorando, giocando. Quando porto Verdun, non stiamo mai meno di un'ora, e finisco sempre per trascinarla via ululante - poco male, la presenza di un'infante isterica viene accolta nelle biblioteche inglesi con totale apparente indifferenza.
Verdun è tesserata per le Westminster libraries dalla tenera età di tre mesi, soprattutto per il fatto che i bambini possono prendere in prestito un' infinità di libri e non pagano multe se sono in ritardo nel riportarli indietro: in pratica finiamo sempre per usare la sua tessera, anche per i libri miei e di H, così, just in case...

Tornando in tema World Book Day, per i bambini viene celebrato con iniziative diversissime che coinvolgono scuole, nursery, biblioteche, centri gioco: ci si inventa veramente di tutto, dal bingo con i disegni dei picture books più popolari al "Vieni a scuola mascherato come il protagonista del tuo libro preferito - libri in regalo al vestito piu originale! "
A tutti i bambini viene regalato un book token, un coupon spendibile in libreria, che si puo scambiare per un libro o usare come sconto per libri piu costosi. Quest' anno abbiamo scambiato quello di Verdun per un libro illustrato che volevo compare dalla prima volta che ho adocchiato la copertina: "The Tiger Who Came to Tea", di Judith Kerr.
E' la storia di di una bambina che un giorno, mentre sta per fare merenda, sente bussare alla porta: quando apre si trova davanti una tigre, enorme ma dall'aria bonacciona. La bambina la fa accomodare al tavolo e la tigre mangia e beve tutto quello che lei le offre; poi saluta e se ne va. La sera il papà della bambina torna a casa, e, quando scopre che non è rimasto nulla da mangiare, decide di portare tutta la famiglia a cena fuori. Il giorno dopo la bambina e la mamma vanno a fare la spesa e comprano una gigantesca latta di tiger food, in caso la tigre tornasse a far visita.
La storia, delicata e surreale, è raccontata attraverso immagini semplicissime ma cariche di umanità, capaci di arricchirla di significato, specialmente riguardo al rapporto tra la bambina e la tigre. Scritto e illustrato nel '68, il libro rieccheggia l' ottimismo e una certa naivitè caratteristica di quegli anni, che poi sono anche proprie del pubblico bambino che l'ha eletto classico della letteratura infantile.
"The Tiger Who Came to Tea" inaugura una nuova bookshelf rigorosamente riservata ai libri per bambini, che poi sono una delle ragioni d' essere di questo blog: more to follow!

In case you missed it, march is World Book Month. Actually, World Book Day was on the fourth, but the celebrations are going on up to the end of the month. Hence a post that will balance a bit the negative ones written about London so far. Here's something that makes leaving here worthwile: the local obsession with reading and books.
Children and young people are particurarly on focus, their development as readers being considered as crucial both in their education and, more generally, for their self fulfilmente in life. If you are born and raised in England, it is hard to imagine how other people might find this innovative and exciting.
For example, there is this initiative for the very young, called Bookstart, through which children from 6 months to three year old are entitled to receive periodically bags full of books matched to their age, and a few goodies (crayons, albums, nursery rhymes posters, and so on). Later, when they reach school age - four year old - the focus on reading becomes even more sustained; this is partly due to the fact that reading in english requires a graet deal more time and energies than learning to read in more phonetic languages, eg italian or french. Anyway, the debate on the best way to teach reading is something that involves really everyone, from politicians to school cleaners, so that it is definitely worth a dedicated post in the future!
Most libraries in UK have a special area dedicated to children, refurbished so that children can actually spend time there, reading but also playing, writing, colouring. When I bring Verdun to the library, we never stay less than an hour, and I always have to drag her away while she is criying to stay - not a big deal, since the presence of an hysterical child is welcomed in most libraries with apparent total indifference.
Verdun has been a member of Westminster libraries since she was three months old, partly due to the fact that children have basically an illimited account and they don't pay fees if they are late in returning their books. And that's how we ended up using her card for my and H's books as well, just in case...

Going back to World Book Day, it is celebrated for children through a great variety of initiatives that involve nurseries, schools, libraries, play centres: there is really a lot to do, from the bingo with picture book characters to the school competition on the best dressing up as a book character - great book prizes to the most original dress!
All children are given a "book token", a coupon that they can redeam in a bookshop for a selected text, or to have a disciunt on a book out of the proposed selection.
This year we exchanged Verdun's coupon for a picture book that I wanted to buy since the first time I spotted the cover, Judith Kerr's "The Tiger Who Came to Tea".
This is the story of a young girl that one day, just as she is getting ready for her tea, hears a knock on the door. It turns out there is a hungry tiger, enormous but very friendly, that would like to share her tea. The tiger ends up eating and drinking everything he can find in the house, then says goodbye and goes away. When dad comes home, since there is nothing left to eat, the whole family goes out for dinner. The next day the young girl and her mum go shopping and they buy a big tin of tiger food, just in case the tiger should come back.
This delicate and surreal story is told though pictures that can appear very simple and child-friendly at a first glance, and yet have a warm and simpathetic element that makes them quite unforgettable; moreover, they enrich the story in terms of meaning, especially with reference to the relationship between the tiger anf the girl. Written and illustrated in the late '60s, this book reflects the optimism and a certain naivetè typical of those years, as well of the young reading audience that has given it its status as modern classic.
"The Tiger Who Came to Tea" inaugurates a new bookshelf, rigorously reserved to children's books, which are one of the raison d'etre of this blog: more to follow!

7.3.10

Thou shall be bilingual (continued)

Come risultato di tante letture abbiamo finito per adottare una strategia basata sulla spontaneità, che in pratica si traduce nel:
parlare molto in italiano in casa, ma non esclusivamente - riflettendo il modo in cui pensiamo;
tendere a parlare in inglese fuori casa, specialmente, è ovvio, in presenza di bambini non italiani;
usare l'inglese quando parliamo di cose da nursery curriculum, tipo numbers one to ten, colours, shapes...questa deve essere una deformazione professionale;
cantare filastrocche e leggere libri in inglese, ma anche in italiano, spagnolo e francese - questa è in assoluto la nostra attività preferita.
Ecco, i libri sono diventati, stanno diventando, sempre più importanti nella nostra famiglia. Aiuta il fatto che qui in Inghilterra il mercato dei picture books, i libri illustrati, sia incredibilmente ricco e vario, anche quello indirizzato ai piu piccoli, ai "toddlers".
Così leggiamo, o meglio "condividiamo libri"("sharing books" è l'espressione che si usa qui, mi pare molto azzeccata) tutto il giorno, al mattino insieme al biberon del latte, dopo pranzo prima della siesta, la sera prima di andare a dormire, e spesso durante la giornata, tra un gioco e l'altro.
Due giorni alla settimana, quando io sono all'università, Verdun e Pierrot vanno alla nursery dell'università dove lavora H, dove si parla esclusivamente inglese; anche lì i libri sono visti come uno strumento abbastanza cruciale.
Bilancio dello sviluppo linguistico di Verdun a 32 mesi: per un lungo periodo più che bilingue ho temuto che stesse crescendo muta. Poi, circa sei mesi fa, ha iniziato a blaterare in continuazione. Per un bel po' non sono riuscita a distingure che una ventina di parole vere e proprie, ma negli ultimi due mesi ci stato un progresso piuttosto accelerato, e ora siamo intorno alle 100 parole. Ancora poche, in assoluto, ma il fatto che abbia tanta voglia di comunicare e una grande espessività mi lascia sperare che presto questo ritardo verrà recuperato.
Ultimamente, poi, Verdun fa spesso fa questo gioco: sistema tutti i suoi pupazzi di fronte a sè e gli legge uno dei sui libri preferiti - non si capisce molto di quel che dice, ma è piuttosto entusiasmante a vedersi. Pare che faccia la stessa cosa con le bambole alla nursery: la maestra Mandy me lo raccontava , dicendo: "I'm not sure if she was speaking italian or english...but I could definetely see a pattern". Se lo dice Mandy!
Dimenticavo...bilancio dello sviluppo linguistico di Pierrot a 5 mesi: il soggetto si sta concentrando sul perfezionamento della pernacchia e del sorriso irresistibile - that's communication for you!

As a result of oh so many readings, we ended up adopting a strategy based on total spontaneity, which basically translates in:
speaking lots of italian at home - but not exclusively, reflecting the way we think, actually;
a tendency to speak in english when we are out, especially, obviously, in presence of non italian speakers;
use english when we talk about "nursery curriculum stuff", as numbers up to ten, colours, shapes...this has to be a professional bias;
sing nursery rhymes and reading books in english, but also in italian, spanish and french - this is definitely our favourite activity.
Books have become, are becoming, every day more important in our little family. It helps that in the UK the picture book offer is incredibly rich in terms of numbers and variety, even considering only those published for toddlers. And so we read, we "share books" (love the expression) all day long, in the morning with the milk bottle, before the afternoon nap, at bedtime, and often during the day, between one game and another.
Two days a week, when I attend my lectures, Verdun and Pierrot go to the nursery of the university where H works, where they hear only english; there as well books are considerd a fundamental tool for education.
Balance of Verdun's linguistic development at 32 months: for a longtime more than growing up bilingual I though she was growing up dumb. And then, circa 6 months ago, she started "talking" all the time. At the beginning I was not able to discern more than 20 words in her continuos bladagablagada, but in the last couple of months things have sped up fast, and we are now around 100 words. Still not many, absolutely speaking, but her great expressivity and the fact that she has such an eagerness to communicate let me think that she is going to catch up. Or so I hope.
She often reads to her puppets: she sits them in a line against the wall and shows them a book, going through it as if she really knew what she was saying - it is impossible to make any sense of it, but it is still great to watch. Apparently she does the same game with her dolls at nursery; her key-worker, Mandy, told me, "I'm not sure if she was speaking italian or english...but I could definetely see a pattern". So said Mandy!
Oh, I almost forgot...balance of Pierrot's linguistic development at 5 months: the subject is specialising on blowing raspberries and making impossibly charming smiles ... that's communication for you!

6.3.10

Thou shall be bilingual

Quando non sono in maternità, lavoro come insegnante in una scuola elementare di Westminster, nel centro di Londra. Insegnare in una scuola pubblica a Londra prevede, oltre a un atteggiamento di tipo missionario a causa dell' elevata percentuale di alunni provenienti da famiglie disastratissime, il contatto quasi esclusivo con bambini bilingui dalla nascita, che qua si definiscono EAL children (English as Additional Language). Io sono incaricata di una seconda elementare, quindi di bambini che hanno alle spalle solo un anno di istruzione formale in inglese, eppure sono in genere già quasi alla pari con i loro coetanei in termini di competenza linguistica. Nonostante le inevitabili difficoltà e aggiustamenti che richiede lavorare con questi bambini, mi piace questo tipo di ambiente scolastico, ho la sensazione che mi arricchisca molto, sia come insegnante che come persona. E ho maturato fede assoluta nel fatto che i bambini che parlano più di una lingua sino avvantaggiati rispetto ai monolingui, che la stragrande maggioranza degli EAL raggiunga una competenza linguistica uguale ai monolingui entro la fine della scuola primaria, che la flessibilità e la curiosità dei piccoli abbia la meglio sulle barriere linguistiche, blablabla...

Poi sono arrivati Verdun e Pierrot, e questa fede assoluta è stata messa in discussione, come spesso succede quando si affrontano questioni importanti a livello personale.Ho sempre incoraggiato i genitori dei miei alunni a parlare la loro lingua madre con i figli, lasciando i bambini liberi di scegliere come e quando usare le diverse lingue che hanno a disposizione; questo su esempio di insegnati più esperti di me e seguendo linee guida governative, basate, si suppone, su ricerca estesa.Quando aspettavo Verdun, però, questa sicurezza ha appunto cominciato a vacillare, e io e H abbiamo passato buona parte dei nove mesi a leggere tutto il reperibile sulla questione dell'educazione bilingue. Risultato: grande confusione.La letteratura in materia è vastissima, per larga parte aneddotica ed estremamente contradittoria. Del resto la questione è troppo estesa e soggettiva perchè esista una risposta univoca. Quando si parla di Signori Bambini e di apprendimento, è impensabile che un modello unico possa essere soddisfacente per tutti, dovrei saperlo bene. Ma diventare genitore per la prima volta fa un po' paura, e si tende a cercare risposte assolute - o almeno, a noi è successo.
(to be continued)

When I am not on maternity leave, I work as a primary teacher in Westminster, central London. Teaching in an inner London school requires, in addition to missionary espirit to face a majority of pupils coming from quite damaged families, contact amost exclusive with bilingual or multilingual children, that are known in school as EAL (English as Additional Language).
I am in charge of a Year 1 class, hence of children that have been in school for only a year, and yet most of them, almost all, have the same linguistic competence as their monolingual peers by the end of Year 1.
In despite of the challenges and difficulties involved by working with these children, I like my school environment, I feel as it is enriching me, both as a teacher and as a person. And I have developed absolute faith in the idea that multilingual children are advantaged compared to their monolingual pers, that they are able to reach the same linguistic competencies, that children's curiosity and flexibility is a powerful means to overcome linguistic barriers, blablabla...

Enter Verdun and Pierrot, and my absolute faith has been repeatedly questioned, as it often happens when important questions are dealt at a personal level.
I have always encouraged my pupils'parents to talk with them in their first language, leaving the children to choose when and how to use the diffent languages at their disposition; I have done that following the example of more experienced teachers, as well as government guidelines, supposedly based on extensive reasearch.
And yet, when I was pregnant with Verdun, this security started to tremble, and me and H spent a big part of the nine months reading whatever we could find on the subject of raising bilingual children. The result of all that reading being an extreme confusion.
There is a HUGE amount of literature on the topic, largely anecdotical and extremely contradictory. Besides, the question is too wide and subjective to be answered in a one-and-only way. When you are dealing with Signori Bambini and learning, universal models just do not work - I should know it pretty well.
But becoming fist time parents is scary stuff, and the tendance is to look for absolute answers - or this is what happened to us, anyway.
(to be continued)

5.3.10

Johnny in Wonderland

Ho scoperto che le mie professoresse del MA, in quanto responsabili del centro nazionale per la ricerca sulla letteratura infantile, sono state invitate alla première del nuovo "Alice in Wonderland"... invidia estrema.
In genere i film tratti dai grandi classici della letteratura infantile, specialmente quelli che amo molto, non mi entusiasmano granchè; tuttavia, come ha ammesso la professoressa Thiel, "Posso fare un'eccezione se è coinvolto Tim Burton. O Johnny Depp."

It turns out that my lecturers of the MA , as responsible for the National Centre for Research in Children's Literature, had been invited to the première of Tim Burton's "Alice in Wonderland"...extreme envy!
Normally I am not that keen on movies based on children's classics, especially the ones that I really love, but, quoting professor Thiel, "If it involves Tim Burton, I am ready to make an exception. Or Johnny Depp."