31.8.11

Cartoline dall' Eurotour (continued)

Seconda tappa: Italì.

Da Londra siamo volati in Sicilia. Una settimana di mare a Cefalù, poi un breve tour con una macchina affittata sul posto: Palermo, Agrigento, Siracusa.
La Sicilia è potenzialmente bellissima. Solo che a me, a forza di girare con i Signori Bambini, è venuta questa sorta di deformazione professionale per cui le prime cose che noto quando visitiamo un posto nuovo sono l' attitudine, le attenzioni e le attrezzature dedicate ai piccoli. Dopo anni di consultazione ossessivo-compulsiva della Lonely Planet, sono passata a scrivere mentalmente la Lonely Planet for kids ogni volta che esco di casa.
La premessa è per spiegare perchè in tante occasioni la Sicilia mi abbia fatto cascare le braccia.
Certo, c'era il mare davvero pulito, e la spiaggia con la sabbia fine e le conchiglie che assicurano ore di intrattenimento per qualunque infante, e specialmente per i nostri che vivono a duemila km dalla spiaggia più vicina: Pierrot era soprattutto interessato a trafficare con camion, palette e secchielli sulla spiaggia, mentre Verdun avrebbe passato ore in acqua.
Solo che finiva tutto lì: il mare, la spiaggia, la vegetazione lussureggiante potevano compensare il caldo e l' umidita, ma non la trascuratezza con cui si presentava tutto il resto. Come l'area pedonale intasata di motorini che correvano come schegge facendo rasette ai passeggini; i marciapiedi rotti e sporchi; i parcogiochi minimi, vandalizzati, esposti al sole; ancora troppa gente che fuma noncurante di avere dei bambini vicino; and so on. Stesse condizioni nelle città che abbiamo visitato, a parte Siracusa, che mi ha lasciato un'impressione migliore.
Mi sono sembrati segni di un'arretratezza culturale a cui non ero preparata, e mi ha amareggiata un po'. Davvero si può fare di meglio, e non ci vorrebbe neanche tanto. Mi piacerebbe tornare in Sicilia tra qualche anno e trovarmi smentita, realizzare che fosse solo una questione di catching up, chissà.

Poi siamo tornati a Torino, e le ultime due settimane di vacanza le abbiamo dedicate alle nostre famiglie e ai nostri amici, il che comporta sempre un tour de force tempistico e organizzativo che ci lascia puntualmente stravolti, ma un po' più sereni, non fosse altro che per tutte quelle facce che dopo tanti anni di assenza ci accolgono ancora con entusiasmo.

Insomma vacanze lunghe e intense, accumulando giorni di ferie ancora da maturare (H mi fa notare che al momento è a -17), tempo dedicato a noi quattro e poi a far conoscere ai SB quella famiglia allargata di cui si ricordavanno pochissimo. Good times.





30.8.11

Cartoline dall'Eurotour

Qualche immagine ricordo delle nostre vacanze, prima che svaniscano del tutto.

Prima tappa: London.
Se hai vissuto in una città per tre quarti della tua vita, stai via per otto mesi e quando torni non ti ricordi di averci mai messo piede, i casi sono due: o sei molto vecchio, o sei molto giovane. In entrambi i casi, per chi assiste alla scena lo spettacolo è un po' sconfortante. Non mi aspettavo molto da Pierrot, ma un barlume di familiarità da Verdun si. Nein, familiarità. Tuttavia deve essersi resa conto che ci fossero delle aspettative: siamo tornati in questo parcogiochi a Marylebone, dove avrei diritto a una placca blu solo per le infinite code davanti alle altalene praticamente quotidiane. Verdun si è guardata intorno spaesata e mi ha chiesto:
"Tu ci sei gia stata qui?"
Eh, occasionally.

Nevermind.
Io e H abbiamo avuto la sensazione opposta, quella di non esserci mai mossi di lì, non fosse che per qualche altra vetrina che ha dovuto lasciare il posto a un ristorante libanese, lo starbucks di fiducia che aveva cambiato gestione e il bambino nuovo di zecca dei nostri amici italiani. Era ancora tutto lì, tutto quello che ci ha attirato e tutto quello che ci ha fatto venir voglia di fuggire: il cielo sempre grigio e la sensazione costante di freddo nelle ossa, il melting pot, i parchi curatissimi, la metro, l'accento irritante dei veri londoners, la loro schiettezza, il flusso rapido e incessante di persone e possibilità che può elettrizzare o angosciare, a seconda dei giorni.

Non ci sono foto della settimana londinese, proprio perchè non ci sentivamo per niente in vacanza. Appena sbarcati a Heathrow siamo invece immediatamente entrati in hyperactive mode, per adeguarci allo spirito del luogo. H ha incontrato il suo vecchio supervisor e hanno prodotto idee che dovrebbero riempire tre articoli, a suo dire. Io ho avuto la mia intervista di dottorato, che inizierò ufficiamente a ottobre, anche se sono mesi che lavoro al proposal. E' stato un raro momento di gloria, e soprattutto un'opportunità per discutere il mio progetto con persone competenti, interessate e addirittura apparentemente entusiaste. Non che H non abbia fatto del suo meglio per apparire interessato ed entusiasta, ma ho sempre avuto il dubbio che quando gli parlavo del proposal lui facesse codici nella testa.

I Signori Bambini sono stati palleggiati da un genitore all' altro e ovviamente hanno visto più cose in una settimana che nei tre anni in cui hanno vissuto lì.
Nella loro classifica delle London's top tourists' traps: il parco di Peter Pan nei Kensington Gardens; il children's zoo di Battersea, anche se l'animale più esotico è il lemuro; il Natural History Museum, specialmente lo shop; Trotters, dove le parrucchiere ti tagliano i capelli mentre sei distratto a guardare l' enorme acquario, e alla fine puoi avere un lecca lecca e un certificato di buona condotta; gap kids in High Street Ken, così grande e incasinato che a nessuno importa se i bambini si scelgono i vestiti da soli; e la pizza sulla south bank, nel ristorante da cui si può controllare il viavai delle barche sul Tamigi.

Ci manca Londra? No. Non ci tornerei a vivere neanche morta? Non è vero neanche questo. Mixed feelings.


(to be continued)

21.8.11

Black and white and grey

Ti puoi anche illudere di essere lontana da Torino da abbastanza tempo da non sentirne neanche più nostalgia. Parlarne poco, quasi mai. Cancellare foto dal computer. Ignorare certe canzoni ancora in memoria sull'ipod. Descriverla come la casa in cui sei cresciuta, un posto importante ma non necessariamente quello in cui vorresti tornare a vivere - 'che essere fuidi, capaci di adattarsi ed entusiasmarsi per nuovi habitat è diventata un po' la tua parola d'ordine.
Poi però ti capita una domenica pomeriggio di sfogliare il New York Times Magazine e incappare in una pubblicità della Rosetta Stone, corredata da foto in bianco e nero di Piazza Vittorio, all' alba, luce grigia sul pavè e poche macchine in giro. Non una didascalia, un indizio, niente. Non si vede neanche la Gran Madre, coperta da un gioco di luce - ma tu la vedi benissimo.
Allora succede di realizzare con un discreto senso di smarrimento che tu e l'uomo di fronte, a sua volta impegnato a leggere un inserto domenicale mentre controlla che i pargoli non si rovescino addosso la cioccolata calda, siete probabilmente gli unici individui in tutto il New Mexico in grado di riconoscere istantanemente quella piazza. Di ricordarne l'eleganza e la maestosità, le passeggiate sotto i portici e le corse al mattino prestissimo, le sessions da shopaholic con le amiche, le prime uscite a due tentative e dentrolariasporcailtuo sorrisocontrovento. Di immaginare una vita parallela, chiedersi e se invece fossimo rimasti a orbitare da quelle parti . Roba che fa male al cuore, e bene all'anima. L'appartenenza è avere Piazza Vittorio dentro di sè.