10.6.10

Appendix

Un commento critico ("costruttivamente critico", avrebbe detto la mia direttrice) sul post sul cervello di mamma mi ha fatto pensare più approfonditamente alla questione del valore della maternità nell'ambiente lavorativo. Chiaramente, sull'argomento si potreberro scrivere un paio di trattati, perciò ridotto a un post lascia spazio a fraintendimenti.

Tento di chiarirmi un po': quello che auspico non è una "quota mamma" per i datori di lavoro. Io non mi sento migliore di nessuno solo perchè ho due figli; una versione migliore di me stessa, però, si. Tra le altre cose, la loro presenza mi ha resa piu serena, più concentrata, mi ha aiutata a stabilire delle priorità da mantenere - o forse sto solo invecchiando :)
E' anche vero che questo genere di qualità si conquistano in tanti modi, essere genitore è solo uno - alcuni fortunelli NASCONO addirittura così! (tipo H)

Quello con cui mi piacerebbe avere a che fare sarebbe un mondo del lavoro dove, ad esempio, eventuali "buchi" professionali nel curriculum dovuti a tempo preso per dedicarsi alla cura di una persona (non necessariamente una PICCOLA persona: il lavoro di chi si prende cura degli anziani, per esempio, è ancora più sottovalutato, purtroppo) non vengano considerati come vacanze dall' ipotetico datore di lavoro; o dove il part-time non sia visto come una richiesta spudoratamente egoistica, ma come una necessità; o dove chi non fa a gara a chi esce più tardi per cercare di fare un lavoro decente anche come genitore non sia visto come l'anello debole; e così via, utopizzando...

(thanks, Lilja)

2 comments:

  1. Anche io la vedo come te ed anche se non mi posso lamentare della mia situazione lavorativa, la maternità alla fine è sempre vista come una limitazione e non come una risorsa. Certe frasi del tipo "non sei più come prima", "hai cambiato le tue priorità", "forse non ti concentri abbastanza", "probabilmente puoi dare più come mamma che come ricercatrice" "i permessi di maternità li paghiamo tutti quanti" e via dicendo sono solo alcune delle cose che mi sono sentita dire.
    Ma io penso che ci sia un pregiudizio. Mi sono fatta un esame di coscienza molte e molte volte e sì, è vero che sono cambiata, che le mie priorità sono cambiate (ed è giusto cosí) ma questo significa dare il giusto posto (e peso) alle cose. E non compromette necessariamente la vita professionale, anzi.
    Lavoro il doppio nella metà del tempo, visto l'argomento della mia tesi posso attingere idee dalla vita reale, sfrutto ogni occasione per riflettere, avere idee, prendere il pc e buttarle giù. Non mi stresso come prima se ho periodi aridi o se non raggiungo il numero di ore di studio che loro ritengano che debba fare. Dormo bene la notte e lavoro bene durante il giorno.
    Alla fine (ma molto alla fine) pochi giorni fa la mia direttrice ha riconosciuto che gli ultimi capitoli che ho scritto (quelli da "madre") sono i migliori e che non se l'aspettava. Ma non è mai arrivata a dire che la maternità mi abbia migliorato.
    Però io ne sono convinta. E questo alla fine è la cosa più importante. Ma ci vuole anche un cambiamento di mentalità generale, e non pensare così d'entrata che l'assunzione di una madre significhi solo maternità da pagare, posti da coprire, giorni di permesso per visite mediche e quant'altro. Un giorno forse riusciremo anche a guardare la qualità e non solo la quantità.

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  2. Cara Elle,

    è davvero buffo, perchè anch'io, dopo averti scritto, ho avuto modo di soppesare più a fondo la questione.

    Parlando con mia mamma di una conoscente comune, ora in maternità, mi sono trovata a stupirmi dei tre mesi canonici di congedo. Non so perchè (o meglio, lo so benissimo), nella mia mente il congedo per maternità era costituito da un anno tondo tondo, bello e buono.

    Tre mesi sono una cosa ridicola e subito ho pensato a te e a quello che avevi scritto nel tuo primo post sull'argomento.
    Non ho potuto fare a meno di pensare anche alla psico-antropologia che un tempo mi ha spiegato come, nelle società aborigene, non esistano nevrosi, perchè fino ai tre anni di vita OGNI bambino della tribù vive a STRETTO e CONTINUO contatto con la madre o con chi ne fa le veci.

    Infine, mi è tornata in mente una mia cara collega, che qualche anno fa mi spiegava che TUTTO il suo stipendio da impiegata si tramutava nella paga della baby sitter che, dalle 8 alle 17, curava i suoi due bambini.

    Bè, tutto questo per dire che sì, sono d'accordissimo con te: sarebbe bello, auspicabile, giusto, naturale che i congedi per maternità o per assistenza a un familiare bisognoso fossero visti per quello che sono: periodi di vita votati alla partecipazione all'altrui esistenza e al progresso della nostra società tutta, periodi nei quali una donna (o, nei paesi più "civili", un uomo) rafforza e conferma e affina la sua umanità...

    Utopia, Utopia...

    Grazie, Elle, per questo bello scambio di idee,

    a presto

    Lilja

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