26.9.10

King for a day


Un anno fa, il giorno in cui Pierrot si è presentato al mondo, c' era un sole che spaccava le pietre, evento del tutto eccezionale a Londra. Infatti, la ricorrenza del suo primo compleanno è stata caratterizzata da pioggerellina quasi continua e aria glaciale - mancavano gli alberi di Natale. Forse Gap ha già iniziato i saldi.
Incurante del tempo avverso, apparentemente non turbato dal fallimento del picnic al parco in programma, Pierrot ha trascorso la giornata nei suoi 37 metri quadrati preferiti, tentando di mordere palloncini e di afferrare bolle di sapone. In un breve break tra una pioggia e l' altra è uscito sul passeggino lasciando a casa il rain cover, per andare a sfamare i ducks di Hyde Park. Un vero Londoner.


Caro Pierrot, ribattezzato "El Lindo" dalle nannies sudamericane dei giardinetti, chissà se hai capito che questo era un giorno speciale per te? Ti ha incuriosito o solo frastornato essere svegliato da Verdun che cantava stonatissima "Happy birthday to you"? Ti è piaciuta l' arca di Noè che ho scelto dopo aver ispezionato ogni angolo di Hamleys? E il biglietto che abbiamo fabbicato ieri io e Verdun, con il disegni di noi quattro e tu con la corona?
Ci sembrava azzeccato: nato parte di un set di quattro, appari felice soprattutto quando siamo tutti insieme seduti per terra. Quando c'è armonia. Quando chiaccheriamo tutti contemporaneamente senza che nessuno alzi la voce. Sembra che ti piaccia far parte di questa piccola tribù.
Ti piacciono i Lego da impilare, ma più ancora distruggere le costruzioni di tua sorella. Ti incuriosiscono i libri con i disegni degli animali e di bambini. Ti piace rovesciare scatole e poi rimettere tutto dentro. Ti diverti molto a riarrangiare la spesa in frigo, specialmente quando dimentichiamo di mettere in salvo le uova. Più di tutto mi sembra ti diverta riuscire a farci ridere: con una faccia buffa da pesciolino, un bacino al vento, sollevando onde nell' acqua del bagnetto - un piccolo clown.
Altre volte ti piace inventarti esploratore, e correre con quel passo ancora un po' ubriaco a nasconderti in angolini della casa a cui hai accesso solo tu. Poi ti fermi zitto zitto e aspetti che qualcuno venga a prenderti, per ricompensarlo con uno dei tuoi sorrrisi larghissimi a sette denti. O battendo le mani. O con un mammamma/pappapap - ancora piuttosto random. O con un morso, se sei proprio supereccitato. Un po' come stasera, quando sembrava che la giornata di festa ti avesse caricato un po' troppo e di dormire non ne volevi proprio sapere; cercavi invece con notevole perseveranza di buttarti giù dal lettone di testa.
Alla fine, sei crollato: a guardarti così, tutto rannicchiato nel lettino come un ranocchio, non sembri troppo diverso da un anno fa: hai mantenuto lo stesso carattere sereno e affettuoso, ma allo stesso tempo stai costruendo una personalità tutta tua, fatta di ricerca di autonomia, di modi di comunicare, di complicità con tua sorella, di curiosita insaziabile e osservazioni attente. Mi colpisce soprattutto il modo in cui sembri intuire ed adattarti all'umore di chi ti sta intorno, illuminandoti se senti serenità e spegnandoti di fronte a tensioni e scontentezza. E ancora di più i sorrisi e i ciaociao con la manina che elargisci a chiunque ti rivolga uno sguardo gentile, la tua capacità di suscitare allegria.
Ecco il mio augurio per il tuo primo compleanno: spero che tu riesca a mantenere crescendo questa serenità di fondo e sintonia con chi ti è vicino. Mi sembrano fondamenta su cui costruire una vita interessante. Intanto, tanti auguri bimbo mio.

25.9.10

Incontri

Spiegava il giovane Holden come "quelli che proprio mi lasciano senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l' autore fosse un tuo amico per la pelle per poterlo chiamare al telefono ogni volta che ti gira".
Come si può dedurre da un certo numero di indizi apparsi qua e là su questo blog, mi è capitato più di una volta di pensare che sarebbe stato piuttosto pratico poter fare uno squillo ogni tanto a Daniel Pennac. La mia ammirazione è costruita in larga parte sull'apprezzamento puramente letterario del suo stile, del suo uso della lingua e dei temi che affronta, sia attraverso i romanzi che i saggi. Ho anche la fortuna di poter leggere Pennac in francese, il che, per quanto la traduzione italiana sia eccellente e renda molto bene la fluidità e dinamicità del testo originale, rimane indiscutibilmente vantaggioso.
A questo si aggiungono, come quasi sempre se si va a investigare una preferenza particolare per un testo o un autore, ragioni più personali ed emotive, legate al momento in cui ho letto alcuni suoi libri, e alle persone che me hanno invitata a leggerli.
Come per la saga di Malaussène, che era stata fortemente consigliata da H, solitamente così restio alla fiction che mi aveva incuriosito. L' entusiasmo era stato tanto contagioso che l'avevo letta tutta in un estate. Anche i "Signori bambini" sono stati un suo regalo, arrivato in occasione di un Natale in cui avevamo appena scoperto che a breve saremmo diventati signori genitori. "Come un romanzo" e "Diario di scuola", invece li ho scovati da sola (uno l'ho sequestrato a un' ex-coinquilina, a dirla tutta), e hanno fornito grande carica e ispirazione negli anni in cui mi preparavo ad insegnare. Altri due titoli sulle mie mensole: "L' occhio del lupo e "Cabot Caboche", libri delicatissimi per bambini, ragalo di un amico francese che aveva individuato questo mio interesse senza che ne facessi parola.

Poi succede che un paio di settimane fa un' amica del master mi avverte che Pennac sarà a Londra per presentare la traduzione francese di "Diario di scuola". Ignorerò l' opportunità offerta su un silver tray per ironizzare sul fatto che ci sono voluti tre anni per tradurre il testo in inglese: Pennac qui non gode dello stesso successo che ha in Francia o in Italia, probabilmente proprio a causa del fatto che nella traduzione inglese, per quanto buona, si perdono il ritmo e lo stile che lo rendono tanto peculiare e interessante. Forse per questo la traduttrice inglese ha accantonato Malaussène per concentrarsi sui saggi sull' educazione, "Come un romanzo" e, appunto, "Diario di scuola".
Insomma, avrei preferito ascoltare Pennac da un palco all' aperto in una piazzetta parigina che in una saletta semibuia di Farrington, north east London, ma è stato comunque emozionante, sopra le mie aspettative.

La presentazione di ieri sera riuniva Pennac, la sua traduttrice inglese Sarah Ardizzone, e Quentin Blake, uno dei miei disegnatori di libri per bambini preferiti, che ha illustrato l' edizione inglese di "Come un romanzo" e ha scritto la prefazione di quest' ultimo lavoro. Attraverso gli spunti offerti dalle domande di Blake, Pennac ha raccontato, commosso, divertito e filosofeggiato attraverso un curioso mix di brillantezza dialettica, gestualità vivacissima, pacatezza e garbo, risultanti in un carisma che il suo lavoro da scrittore riflette solo in parte. Ha raccontato della propria esperienza di studente e di insegnante, soffermandosi in particolare sulla figura dell' ultimo della classe, delle paure e del senso di ineguatezza che caratterizzano la sua esperienza di scuola e di educazione. Di come lui avesse avuto la fortuna di incontrare alcuni insegnanti che lo incoraggiarono, attraverso strade e direzioni diverse da quelle canoniche,a sviluppare autostima e talenti personali. Di come poi egli abbia sperimentato sulla propria pelle, da professore, il bisogno di creare opportunità alternative e rispettare i ritmi individuali dei propri alunni, di dirigere la classe come un' orchestra anzichè come un reggimento. Dell' importanza che egli attribusce agli insegnanti e piu in generale agli educatori, nel promuvere una concezione della ricerca del benessere legata non alla capacita di cambiare macchiana o cellulare ogni due anni, ma alla possibilità di istruirsi, di avere accesso ed esplorare stimoli intellettuali diversi.

Tante idee, insomma, molto food for thought. Ma forse più di tutto mi ha colpita il contrasto, in questo scrittore ormai anziano, tra l' andatura rallentata e appesantita e la faccia scavata dalle rughe, e la caparbietà dello sguardo luminoso e profondo e del sorriso scanzonato e un po' sarcastico, apparentemnrte incapaci di soccombere allo scorrere degli anni, alla fatica, alla monotonia. Un bambino coi capelli grigi.

Avevo portato con me tre libri di Pennac per chiedergli di autografarli; ma lui era in vena creativa, e così adesso sono in possesso di una copia di "Signori Bambini" altamente personalizzata (per chi non avesse presente il disegno originale, i cinque omini con il cartello in alto sono stati aggiunti ieri sera). Wow! Questo compensa per quando mi hanno portata a Disneyland ma c' era lo sciopero delle maschere cosi non avevo potuto avere l' autografo di Donald Duck.

Et vive Pennac!


20.9.10

Wake me up when September ends

O anche October, o November. Svegliatemi per la vigilia di Natale, 'che quella mi spiacerebbe perdermela.
Motivo di tanta frustrazione e voglia di alienarsi fino a quando sarà tutto a posto non è solo la realizzazione che ci aspettano un paio di mesi molto intensi per via del trasferimento in New Mexico. Una volta lì so (spero) che entrerò in modalità "rullo compressore" e affronterò tutto con una certa rapidità e lucidità. Yes, we can.
E' l'attesa on this side of the pond, "da questo lato del laghetto", come dicono gli inglesi, che sta diventando moralmente estenuante. I tempi del trasferimento non sono ancora ben definiti, principalmente a causa di cavilli burocratici (yes, yes, flagellano anche gli usa!). Esiste un' espressione inglese in merito, onomatopeicamente molto efficace: essere STUCK. Siamo bloccati.
Siamo bloccati in attesa che dagli States arrivino i documenti necessari a richiedere un' intervista al consolato americano. Attraverso l' intervista dovremmo ottenere i visti. A quel punto potremmo prenotare il volo.
Allora ci si potrebbe concentrare su una lunga serie di aspetti più pratici, ancora più terrificanti: la seleçao su cosa portare/regalare/buttare/mandare in Italia. L'inscatolamento. La scelta del corriere. Dettagli tecnici del tipo ok, ma dove esattamente la spediamo tutta 'sta roba, visto che per le prime due settimane negli states vivremo in un bed and breakfast.
Ridare il bianco alle pareti, sostituire i mobili irrecuperabilmente rovinati dai SB, trovare un agente immobiliare a cui affidare l' affitto del nostro appartamento.
Ma finchè non arrivano questi benedetti documenti, siamo stuck. H intanto continua a lavorare, anche se con la testa è spesso altrove. Io sono a casa e mi posso dedicare come si deve ai pargoletti, il che non sarebbe male, ma anche io ho spesso la testa occupata dal pensiero di queste incombenze. E' il genere di pausa che non riesco a godermi, per niente. Per questo a volte vorrei essere un minatore cileno e riemergere tra tre mesi, a trasloco compiuto, casa newmexicana pronta e perfetta, libri già sistemati sulle mensole e tendine alle finestre. Altre volte, il pensiero del trasferimento, delle sue incognite e delle molteplici possibilita che potrebbe aprire per la nostra vita è eccitante. Sto diventando un po' bipolar, insomma.

Verdun, come è logico, assorbe tutto come una spugnetta.
Tutte le mattine prepara il suo zainetto e saluta ufficialmente:
"Bye bye, mamma."
"Dove vai oggi?"
"America."
Si siede sullo scalino della porta, in compagnia del fedele Dog, Ba e Boy, e un giornalino di Peppa Pig, o Vanity Fair, dipende cosa trova in giro.
Dopo un po' interrompe la lettura e rivolge a Dog uno sguardo omnicomprensivo:
"Cos'hai detto Dog? Siamo già America? Noooo! Ahahaha, Dog! No America quetta, quetta Londra! Ancora sei minuti."

Probabilmente un giorno, in retrospettiva, questi giorni sembreranno davvero un tempo d' attesa brevissimo. Sei minuti.

17.9.10

Giovani, carini e stressati






Non è vero che era meglio quando non parlava. La verità è che la pargoletta non è mai stata piu interessante di quanto sia ora. Perchè, udite udite, proprio Verdun, che destava sospetti di mutismo, che a due anni aveva un repertorio di venti parole, che ha a lungo dimostrato una spiccata preferenza per forme di linguaggio non verbali, parla!
Parla in continuazione, e anche discretamente bene (disclaimer: questa è l' opinione della madre, e come tale va presa con le pinze). Comunque c'è stato questo progresso rapidissimo nel giro degli ultimi tre mesi che ci ha colti di sorpresa. Sembra che impari 100 parole al giorno; le frasi diventano piu complesse, la grammatica meno casuale, i verbi vengono declinati, spesso in modo sbagliato, ma si intravede un tentativo, una logica nell'estrapolare e applicare regole sintattiche (ditto anzichè detto, ad esempio).

Italiano e inglese si mescolano allegramente, anche in una parola sola: il difficile è rimanere serii, quando se ne esce con osservazioni del tipo (leggendo cappuccetto rosso):

"Guarda mamma, dietro albero: il big bad wulfo!"

oppure

"Ho messo i Barbapapas in mi borsa, quella po' pink, po' white."

o , per strada


"Mamma! Qualcuno buttato bin per terra: che pigs!"

Da ascoltatrice, riconosce qundo una persona parla italiano, inglese, o nessuna delle due lingue. Da speaker appare molto più confusa: sperimenta, sceglie le parole che ricorda meglio, o che le suonano più simpatiche, o che ha sentito in una storia. Cerca di trovare un senso, delle regole, dei pattern.

Fa osservazioni su tutto con una sincerita spiazzante, a volte entusiasmante

"Che bbella mia mamma!"
,

a volte meno

"Quetta minestra fa schifo. Mio daddy minestra è piu buona."

Il risvolto un po' inquietante è che quello che dice, specialmente in questo periodo in cui non va alla nursery, lo sente da me, o da H. O da Peppa Pig, ma direi soprattutto da me. Mi fa riflettere sulle parole, sul tipo di linguaggio, sull'atteggiamento che uso più o meno consapevolmente con lei e Pierrot: è una riflessione utile, anche se non sempre resco a reindirizzare la comunicazione come vorrei. D'altra parte, la spontaneità è probabilmete altrettanto importante.


Parla volentieri con me, H e Pierrot, ma i suoi interlocutori preferiti rimangono il già citato Dog, Ba, Boy e Miss Mousie. Abbandonati i toni dittatoriali, adesso ha assunto un atteggiamneto più materno, scadente nel patronising: mentre gli parla ogni tanto alza gli occhi al cielo e fa larghi sorrisi accondiscendenti.

"Cos'hai detto Dog? Ah ah! Dog detto che ha paura di seesaw! Beh, he's only ten months."

Ogni tanto cerco di capire cosa confabula con i suoi pupazzi, ma i toni sono quasi sempre bassissimi e cospiratori, e le mie richiestre di spiegazioni vengono sistematicamente ignorate, o liquidate con un lapidario "Ho detto niente". Paganini non ripete, diceva mia madre.

Stamattina eravamo ai giardinetti in coda davanti all' altalena. Verdun si sente ormai ubercool e l' altalena la lascia volentieri ai bambini piccoli, ma oggi si era portata dietro Dog e voleva fargli fare un giro.
Aspettiamo. Aspettiamo some more. Sembra di essere in posta.
La sento parlare con Dog.

"Cos' hai detto ?"


"Niente."


"Non è vero, ti ho vista. Cos' hai detto a Dog?"

"Ho detto: che stress. Dog, andiamo su scivolo."

E' tosta 'sta pupetta. Non è mai sta più interessante che adesso, ma mi aspetto che domani sia ancora meglio.

13.9.10

Chocoaholic

Incontro al caffè davanti alla British Library alcune colleghe del Master, per festeggiare con un immancabile nice cup of tea la consegna della tesi. Ovviamente, mi accompagnano Verdun e Pierrot: siamo tutti e tre cotti e nervosissimi a causa della mancata siesta pomeridiana. Per fortuna le colleghe in questione sono ancora childless, quindi prone ad osservazioni affettuose e intrattenimento spontaneo degli infanti.
Una di loro addirittura compra una barretta di cioccolata a Verdun, che la arraffa senza neanche guardarla in faccia.

"Hey! Cosa devi dire ad Anna?"

La pargola, osservando la barretta un po' perplessa:

"E' un po' piccola."

Era meglio quando non parlava.